mercoledì 29 settembre 2010

Riflessioni

I. Cosa vuol dire essere senza speranza? Non è, come si pensa, un modo per indicare qualcuno che crede in qualcosa di irrealizzabile, tanto meno una locuzione per un inguaribile pasticcione. è semplicemente la rassegnazione di non sperare più in niente. "Sei senza speranze" "Già, perchè io non spero in niente".


II. Quando finiamo di raccogliere i vestiti ormai asciutti stesi al sole, non ci rendiamo conto che facciamo un atto di profondo egoismo. Apriamo e riuchiudiamo le mollette, lasciandole attaccate al loro filo, sospese. Evitiamo di riporle tutte insieme in un apposito cestino, perchè ci viene più comodo fare così. Le suddette sono quindi destinate ad essere lontane le une dalle altre. Sempre. Con qualsiasi tempo là fuori. Vento. Pioggia. Sole cocente. Il loro destino e la loro trappola, sono la stessa cosa. L'unico modo per liberarsi è lasciarsi cadere nel vuoto. Nel vuoto.


III. Da un vuoto all'altro non è un gran miglioramento.

sabato 22 maggio 2010

Dialogo

- è impossibile che lui capisca..
- mmm..
- ma dimmi, anche io sono così? VEDO COSE CHE NON ESISTONO?
- uff uff...
- mi prendi in giro?
- no
- anche io dico cose che non stanno nè in cielo nè in terra? perchè sono innamorata?
- vado al supermercato
- ok. comprami un po d'amore.
- se lo trovo in offerta sì.

Capitolo primo


Come tutte le persone sulla faccia della terra, anche io ho sempre pensato di scrivere un libro sulla mia vita, perché come tutte le persone sulla  faccia della terra anch’io ho sempre pensato che la mia vita fosse interessante.
Ma non l’ho mai fatto. Fino ad ora. Jack mi ha ispirato! Leggere un libro scritto in prima persona da uno scrittore che, quindi, si descrive come tale, mi ha dato quella spinta in più che ancora mi mancava. O forse è solo che non ho alcuna voglia di studiare e allora mi metto a scrivere.
Interessante o meno, questo è quello che fu.

Correva l’anno 1985. Mia madre stava sdraiata sul lettino dell’ospedale col suo bel pancione con me stessa a bordo e con lo stato d’animo di chi è al nono mese di gravidanza e pensa che tutto stia andando bene. Il dottore, già incappottato, viene a salutarla prima di tornarsene a casa dalla sua famiglia, fa per andarsene ma poi torna indietro e dice: “Ma dai, prima di andare le do una controllatina, non si sa mai…”. Quello che seguì dopo mia madre non sa raccontarmelo, mi ha semplicemente riferito che ci fu un viavai di infermieri, uno sbattimento del dottore, uno sfilamento del cappotto, la sala operatoria, e poi…il giorno dopo. Alla legittima domanda da parte di mia madre: “Cchi fu?” le parole del dottore “Se fossi andato via ieri, ora non ci sareste né lei né la bambina” non valsero a spiegare chiaramente l’accaduto. No! È stato necessario che il dottore mi sputtanasse davanti a mia madre, voglio dire, l’ho appena conosciuta, non farmi fare brutta figura! e invece le va a spifferare che io ho avuto fretta di nascere e con un pugno le ho spaccato l’utero, onde per cui sono nata con la manina nera per via del conseguente blocco di circolazione al polso. Ecco, adesso io dico, che diamine, chi te l’ha detto, signor dottore, che io avevo fretta di nascere? Non poteva essere invece che io ti avevo visto guardare dentro e ti volevo salutare? Quello che tu hai etichettato come “pugno” poteva essere benissimo un “dammi il cinque”  non credi? O magari  volevo solo fare una carezza alla mia mamma per ringraziarla di avermi tenuto in lei per nove mesi. Un po’ di fantasia no?
Era il 4 ottobre del 1985, e io compivo già il mio primo danno al mondo.